Prepararsi al parto. La mia storia, le mie emozioni.

Diventare mamma

Prepararsi al parto: pubblicare questo articolo ora, più di 3 mesi dopo la nascita di Anita, sembra un pò surreale, ma per nulla al mondo vorrei perdere l’opportunità di raccontare le sensazioni e pensieri che mi hanno accompagnata negli ultimi mesi di gravidanza.

Ammetto che non sapevo da dove partire, e allora ho deciso di partire dall’inizio. Da quella sera in cui grazie ad un concerto jazz e ad una birra ho scoperto che il parto poteva non essere una esperienza dolorosa e paurosa, come avevo pensato fino a quel momento.

Le cose migliori succedono davanti ad una birra

Avevamo posti riservati in prima fila: era molto tempo che non ascoltavo quel tipo di jazz. Anita era ancora nel pancino, all’epoca di quasi cinque mesi, probabilmente cominciava appena a sentire ma in alcuni momenti temevo che quei suoni fossero troppo forti per lei, troppo nuovi.

Dopo il concerto ci siamo fermate con i musicisti a chiacchierare, erano anni che non vedevo Mattia, il batterista, e avevamo voglia di raccontaci qualcosa delle nostre vite di adesso. Gli altri bevevano birra, quella buona artigianale e non pastorizzata, io degustavo acqua tonica con una fetta di limone, atteggiandomi come se stessi bevendo il migliore dei gin tonic. Afferrando una patatina Mattia mi chiese se avessi già deciso come partorire. La domanda arrivò così all’improvviso che fu impossibile nascondere la mia ignoranza: non pensavo si potesse scegliere, non sapevo esistessero tanti modi per farlo. Credevo che bastasse andare all’ospedale, dove qualcuno si sarebbe occupato di me.

Con uno sguardo ha capito che brancolavo nel buio, che pur essendo già al quinto mese di gravidanza, non avevo ancora la minima idea di quello che mi aspettava e dunque neanche la minima preparazione per affrontarlo. Allora ha cominciato a raccontarmi l’esperienza della sua famiglia, della nascita dei suoi bambini, avvenuta in casa, con dolcezza, rispettando i tempi e il fluire delle emozioni generate dal parto.

Mentre lo ascoltavo ho capito che stavo tergiversando sul prepararmi ad affrontare uno dei momenti più intensi della mia vita perché ne avevo una grande paura. Avevo paura di non sapere cosa mi sarebbe successo, paura di subire decisioni prese da altre persone, paura di vivere quei momenti in un corridoio di ospedale, di fronte a sconosciuti, senza intimità e rispetto.

Grazie a quella conversazione ho realizzato che il parto avrebbe potuto essere una esperienza intima e dolce, seppur estremamente intensa e totalizzante. Poteva essere una esperienza diversa da quella che conoscevo attraverso il cinema dove la donna è di solito distesa sul lettino, urla e viene incitata a “spingere”. Poteva essere anche diversa dalla gran parte dei racconti finora ascoltati da cui emergeva soprattutto il dolore, la precarietà della donna, spesso in balia di istruzioni invadenti o assenti del personale di turno, con lunghe attese in ambienti freddi, o in ambienti comuni dove la naturale evoluzione del travaglio può facilmente essere inibita.

Ho quindi messo da parte la paura e ho cominciato un percorso di preparazione al parto che mi ha aiutato a far nascere Anita in un modo meraviglioso, che ho sentito mio, che ho vissuto con trasporto, emozione, lucidità e grande consapevolezza.

Come ci sono arrivata lo voglio raccontare qui, come se fossimo di fronte ad un paio di birre, affinché altre donne possano vedere il parto e la nascita con una nuova prospettiva e abbiano la possibilità di mettere da parte la paura.

Fare rete, ascoltare le altre donne

Il primo passo è stato quello di partecipare ad incontri e confronti sulla nascita: mi hanno dato l’opportunità di conoscere molte ostetriche e di ascoltare le esperienze di altre donne. Ricordo ancora quando ho sentito parlare per la prima volta della metafora del parto come una forte tempesta che per essere attraversata ha bisogno di una donna in grado di reggere forte il timone (Leboyer). Fui assalita da una forte emozione, e promisi intimamente ad Anita che ce l’avrei messa tutta.

Respirare

Ho imparato a respirare fino in fondo, a vocalizzare utilizzando il canto carnatico per rilassare la gola e, di conseguenza, il canale vaginale per rendere le contrazioni meno dolorose e facilitare la dilatazione. Ho cominciato a sedermi bene in modo da stare comoda non solo io, ma anche il bambino che avevo in corpo. Tenere la schiena dritta, non abbandonarsi su morbidi divani, sedersi divaricando le gambe su una sedia girata al contrario: piccoli accorgimenti che ripetuti tutti giorni aiutano a lasciare spazio al bambino in modo che possa mettere bene la testa, nella posizione più adatta ad attraversare il canale del parto.

Un grande aiuto mi è stato dato dal corso di yoga specifico per la gravidanza con Elisa Binotti, ho scelto lei perché insegna yoga da tanti anni e perché è stata allieva di Frédérick Leboyer, ostetrico e ginecologo francese considerato l’ideatore del cosiddetto parto dolce o parto senza violenza.

Una delle frasi più importanti di Elisa è stata: “dovete lasciar nascere, non spingere” ed è stato un mantra che mi ha accompagnato fino a quando non ho sentito venire fuori la testina di Anita.

Essere consapevoli

Leggere e informarmi per capire e avere la consapevolezza di quello che sarebbe capitato al mio corpo, per avere gli strumenti per assecondare il processo naturale che avrei attraversato, domando per quanto possibile l’inevitabile dolore.

Ho letto quattro libri, che consigliere a tutte le donne incinte:

Li ho letti nell’ordine in cui li ho elencati in modo da partire dalle idee per arrivare fino ai racconti di parto, che è stato utilissimo per me leggere.

L’evoluzione: 8 scatti dalla settimana 12 alla settimana 34

Scegliere

“La nascita è una parte così integrante della vita, così normale, che le scelte che le stanno intorno vengono spesso relegate a casualità” così Ina May Gaskin conclude l’introduzione di La gioia del parto.

Ho cominciato ad informarmi e ho scoperto che esisteva un reparto dell’Ospedale Sant’Anna di Torino dove è possibile partorire in modo non medicalizzato. Questo reparto si chiama Centro Nascita e accoglie tutte le mamme con gravidanza fisiologica che si presentino entro la 28ma settimana per cominciare il percorso di monitoraggio insieme alle ostetriche.

Partorire in modo non medicalizzato significa che non si può scegliere l’epidurale o il taglio cesareo a priori, ma in caso di necessità è previsto il trasferimento nel reparto maternità normale.

Ho capito che era il posto giusto per me dalle emozioni che ho provato la prima volta che lo ho visitato: le sale parto accoglienti, che sembrano quasi stanze da letto, attrezzate per permettere alla mamma di assumere le posizioni che più preferisce per assecondare la nascita. Un ambiente appartato, rilassante e rassicurante. Negli ultimi mesi di gravidanza ho frequentato il Centro Nascita quasi tutte le settimane, per il corso pre-parto o per le visite: alla fine lo conoscevo bene, mi sentivo a mio agio e mi fidavo delle ostetriche.

I centri nascita in Italia non sono ancora molti, ma cominciano ad essere presi in considerazione per la voglia, sempre maggiore, di ridare naturalità alla nascita. In caso non sia possibile accedere a queste strutture, potrebbe essere d’aiuto il supporto di una ostetrica privata o una doula con cui confrontarsi soprattutto nelle ultime settimane di gravidanza ed eventualmente valutare il suo supporto durante il travaglio laddove questo possa farvi sentire più seguite, tranquille e a vostro agio. In ogni caso è utile visitare, conoscere e frequentare l’ospedale e il reparto dove si intende partorire in modo che diventi un ambiente famigliare.

Quindi come è andata a finire? Come è andato il mio parto dopo tutto questo percorso? Ve lo racconto nel prossimo post 🙂

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